Otranto: architettura della cattedrale e del castello


Storia ed architettura dei simboli di Otranto, la cattedrale ed il castello

La parte più antica di Otranto ha conservato il fascino millenario con il tempo, col borgo racchiuso dalle mura aragonesi, impreziosito dal castello aragonese e dalla cattedrale romanica.  

Il Castello Aragonese, in origine roccaforte difensiva, oggi è divenuto luogo di cultura e conoscenza dove vengono organizzate mostre ed eventi di carattere internazionale. La sua storia è stata piuttosto travagliata poiché fu danneggiato, riparato, ricostruito e modificato: dopo l’assedio del 1067 fu potenziato per volere di Roberto il Guiscardo, nel 1228 sotto Federico II di Svevia fu ricostruito; dopo il Sacco turco di Otranto del 1480 toccò al duca Alfonso d’Aragona ricostruirlo fino a quando, sotto i veneziani, vennero aggiunte artiglierie e bombarde. L'aspetto attuale si deve ai Viceré spagnoli, che ne fecero un vero e proprio capolavoro di architettura militare: opere di difesa straordinaria furono attuate nel 1535 da Don Pedro di Toledo, di cui rimane lo stemma sul portale d'ingresso e sulla cortina esterna. I due bastioni poligonali, aggiunti nel 1578 sul versante rivolto al mare, inglobarono il preesistente bastione aragonese. Alla metà del secolo successivo il leccese G. F. Saponaro fu incaricato di rafforzare ulteriormente il castello. Oggi si presenta a pianta pentagonale, circondato da un ampio fossato e scandito da quattro torri, tre circolari in carparo e una con la punta protesa verso il mare; sul quinto lato, scoperto, si apre il ponte levatoio. La fortezza otrantina ispirò il primo romanzo gotico della storia, Il castello di Otranto, di Horace Walpole.

Costruita dai normanni nell’XI secolo, e in seguito rimaneggiata un paio di volte, la magnifica cattedrale è una selva di sottili colonne con capitelli intagliati che poggiano su una delle princi­pali attrattive di Otranto: l’ardito mosaico pavimentale, opera del giovane monaco Pantaleone (XII secolo), che ricopre tutta la superficie dell’edificio con il suo paradiso, il suo inferno e il suo bizzarro sincretismo di religione e superstizione. Ma quel che sorprende ancora di più è la raffigurazione naïf dei soggetti, che con i loro grandi occhi bianchi e le proporzioni creative sembrano cartoni animati. Lo schema è quello dell’al­bero della vita, i cui rami sinuosi fanno da sostegno a scene tratte dalle sacre scritture, mostri, animali, figure mitologiche e raffigu­razioni dei mestieri. È semplice individuare elementi riconoscibili come la Torre di Babele, Noè e la sua arca, la dea della caccia Diana, re Artù e perfino Alessandro Magno. E più si sale verso la cima dell’albero, più le immagini si fanno esoteriche. Nel coro, per esempio, appare una serie di meda­glioni, alcuni con iscrizioni latine e arabe, che sono impossibili da decifrare, anche se alcuni studiosi e appassionati ipotizzano che si tratti di una cosmogenesi medievale. È sorprendente che il mosaico sia arrivato fino ai giorni nostri, considerato che i turchi usarono la cattedrale come stalla, mentre erano impegnati a decapitare i martiri di Otranto su una pietra che ora è conservata nell’altare della cappella laterale, a destra dell’altare principale; le teche di vetro lungo le pareti ospitano invece i resti dei martiri. Spet­tacolare infine il soffitto, che è un alveare di cassettoni blu e oro. Le scalinate ai lati delle navate laterali portano alla splendida Cripta (XI secolo), composta da una selva di colonne e di capitelli in marmo tutti diversi tra loro.

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